Il Gioco

Qualsiasi libera espressione di energia fisica o psichica non diretta a fini utilitari, è considerata gioco.

Tuttavia l’idea del gioco non è così semplice e in ogni tempo gli studiosi hanno avvertito l’esigenza di limitarne e definirne gli aspetti reali e caratteristici, nonchè di ricercare quali siano il suo significato e la sua importanza nella vita dell’uomo e, anche, degli animali. In un famoso libro del 1938 Homo ludens, Johann Huizinga lo definisce definisce

un’azione libera, avvertita come fittizia e situata al di fuori della vita concreta, capace tuttavia di assorbire totalmente l’individuo che gioca;

Un’azione non legata a in teressi materiali o utilitari che si svolge in un tempo e uno spazio espressamente definiti, secondo regole prefissate, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimenti la loro diversità dal mondo ordinario Roger Caillois in Les jeux et les hommes (1958) insiste, invece, su di un altro particolare aspetto delle attività del giocare, la “incertezza” (aleatorietà, probabilità). Infatti nel gioco delle carte, come in altri, quando la vincita appare ormai certa per un giocatore, senza che per gli altri vi sia più nessuna probabilità, questi smettono di giocare; alla lotteria, alla roulette, ecc. l’incertezza è segnata da una probabilità matematica, che condiziona il gioco sino alla fine. Vi sono però giochi che non comportano regole o incertezze; sono specialmente quelli che si fondano sull’improvvisazione, la sorpresa, l’imitazione: per esempio la bambola, i pupazzi che scattano, le costruzioni con la sabbia, ecc… Anche questi giochi non sfuggono tuttavia alla caratteristica essenziale e comune, quella cioè di essere un libero esercizio di attività che si realizza soltanto per il piacere che se ne prova.

Circa il fine, pur ammesso come caratteristica essenziale e universalmente riconosciuta che il gioco abbia in se stesso il suo fine, è stato però notato che, per esempio, chi gioca a carte e vince la posta, come chi estrae una cartella alla lotteria e vince un grosso premio, prova non solo la soddisfazione di aver par tecipato al gioco, ma quella altresì di aver guadagnato la vincita. Chi gioca con la speranza di guadagnare partecipa, infatti, all’emozione del gioco ma ripone la sua aspettativa principalmente sull’esito finale: se questo fallisce, il gioco si risolve in una delusione; nel caso, invece, di vincita, alla emozione si aggiunge la soddisfazione del guadagno, che è elemento aggiunto ed esteriore.

In questi casi il gioco assume un significato particolare, la cui importanza è specialmente legata a fattori di ordine utilitario e sociale, anche se non è mai del tutto assente il piacere che si prova per il semplice fatto di partecipare.

Gli studiosi ed interpreti del significato che il gioco assume nella vita fisica e psichica dell’uomo hanno prospettato ipotesi e teorie spesso contrastanti, ma sempre ricche di prospettive pedagogiche e umane. In generale giocare si oppone alla vita “seria” anche se esso non è privo di interiore impegno e serietà, come attività che non si propone di modificare l’ambiente reale, ma soltanto esprime il piacere di colui che gioca. La vita seria che si assume come suo contrapposto è, in genere, il lavoro, cioè lo sforzo e il sacrificio che si compiono per conseguire un fine che trascende la stessa attività del soggetto che lavora.

Aristotele aveva avvicinato il gioco alla felicità e alla virtù, come attività non necessaria e contrapposta al lavoro. Questa contrapposizione è stata ripresa in modo più concreto e radicale da Kant, che per primo fece un uso filosofico del concetto di gioco, collegandolo strettamente con l’attività estetica. Il rapporto tra gioco e arte sarà in seguito approfondito da numerosi filosofi e pedagogisti di corrente spiritualista, fra cui Schiller e Gentile. Kant aveva tuttavia sottolineato un altro aspetto dell’attività ludica, quello più propriamente biologico, concetto che verrà assunto dalla filosofia e pedagogia del sec. XIX e che da Fröbel fu posto a base della sua teoria l’educazione.

Fra gli autori che si sono occupati più specificamente del gioco infantile, alcuni lo hanno ritenuto scarica vitale di energie eccedenti i bisogni dell’organismo (Spencer, Colozza), altri esercitazione di attività motorie ed intellettuali dirette alla formazione della persona adulta, tirocinio e pre-esercizio alla vita seria (Groos), sostituto e succedaneo alle attività di vita seria (Claparède). A Wallon si riconosce il merito di aver conciliato le teorie biologiche con quelle a carattere psicologico mediante il tramite e l’apertura della socialità, che sarebbe valsa a inserire la scoperta del bambino e del gioco infantile in un contesto dinamico di natura e società.

Jean Chateau vede nel gioco un mezzo adatto a collegare la percezione delle cose reali col pensiero astratto, mentre si deve a Luigi Volpicelli la tesi secondo cui giocare è il mondo dell’esperienza infantile e per esso il bimbo scopre tutta la complessa tessitura della vita umana. In un’epoca moderna la psicologia e l’antropoogia hanno riconosciuto l’utilità del gioco ai fini della conservazione dell’uomo e del suo adattamento alla società, per cui al riconoscimento della sua funzione educativa, biologica ed estetica si è aggiunto quello della sua funzione sociale.

Il gioco, sia come attività diretta sia come spettacolo, rappresenta ormai uno dei principali modi d’impiego del tempo libero di milioni di persone.

Gioco infantile

E’ comunemente ammesso che il gioco dei bambini è tale soltanto per gli adulti, ma in se stesso è un’attività seria. Johann Paul Richter avvertì che il bambino cresce giocando da solo, con i giocattoli, oppure in gruppo con i compagni. In entrambi i casi egli realizza nel tutto se stesso perchè, come aveva inteso Fröbel, il gioco rappresenta un’auto-attività totale, fonte di interesse e di impegno che psicologi e pedagogisti hanno ritenuto forma essenziale della vita infantile.

Il bambino gioca per rispondere ad un appello della natura, la quale ha disposto che egli promuova il suo primo sviluppo biologico e psichico mediante quella caratteristica attività operativa che gli adulti hanno definito gioco.

La natura ha dotato perciò il bambino di un frenetico e irresistibile bisogno di muoversi, di procurarsi delle sensazioni, di procedere inconsciamente, ma attivamente ad esperienze reali, che allargano la sfera delle curiosità, degli interessi e delle conoscenze. Giocando, il bambino consolida le sue strutture elementari e si prepara alle fasi successive della sua crescita.

Il gioco infantile è pertanto attività spontanea e necessaria, mossa dallo stesso automatismo delle strutture vitali e delle energie vitalizzanti, ed assume toni, procedimenti e significati diversi a mano a mano che il bambino si avvicina all’età della vita seria.

I primi giochi sono esercitazioni sensoriali ed I esperienze elementari: il bambino si vale per questo delle sue mani, del succhiotto, di ninnoli o sonagliere; poi, giocando con gli oggetti e i giocattoli e, infine, con i compagni, il bambino acquista e sviluppa il senso dell’ambiente che lo circonda e i primi sentimenti di socialità (“girotondo”, “mosca cieca”).

Piaget, acuto psicologo dell’infanzia, ha osservato che già nel secondo mese di vita si riscontrano i primi giochi di esercizio, legati al piacere che proviene dalle attività della motricità, della percezione, dell’intelligenza ed hanno lo scopo di fornire al bambino un piacere funzionale. Nei primi anni di vita compaiono anche i giochi immaginazione e di fantasia: il bambino si crea compagni, personaggi e situazioni immaginarie, rispetto ai quali si comporta come se fossero realmente esistenti. Dai due ai sette anni prevalgono i giochi a carattere simbolico-rappresentativo, mediante i quali il bambino esercita e sviluppa le attività di assimilazione e, verso i sette anni, cominciano i giochi con regole, che costituiscono i primi tentativi di avvicinamento alle attività proprie degli adulti.

Il gioco con le regole, di costruzione, che segue quello funzionale e simbolico rileva il primo manifestarsi di un effettivo impegno cognitivo, per cui gli oggetti tendono a perdere il significato magico e ad assumere il valore concreto e reale di mezzi a un fine, cioè strumenti.

In questa fase il gioco assume il carattere e il modo di un’organizzazione tecnica, con precise regole di valore normativo e categorico, che ammettono sanzioni ed esigono un leale comportamento: il giocatore che non si attiene e non rispetta le regole del gioco vi è escluso e squalificato. Le differenze fondamentali tra i vari giochi infantili rispecchiano dunque le diverse esigenze dell sviluppo bio-psichico del bambino e sopravvivono pressochè immutate attraverso i secoli.

Le ricerche etnografiche e archeologiche, nonchè i numerosi documenti letterari e figurativi dimostrano infatti come i giochi-base siano simili fra i fanciulli delle varie epoche e dei vari Paesi. Non così ovviamente per i giocattoli che hanno seguito lo sviluppo della tecnica e risentono del gusto dell’artigianato.

I bambini dell’antica Grecia giocavano, come i nostri, a “mosca cieca” a “nascondino” al “girotondo” avevano bambole, palle e il gioco del re diffuso sia in Grecia che a Roma, consisteva in una specie di gara, in cui più bravo veniva proclamato re e il più inetto “ciuco” dai Greci e “scabbioso” dai Romani.

Altri giochi infantili che risalgono all’antichità sono il cosiddetto “testa o croce”, che consiste nello scommettere se la moneta lanciata in aria ricadrà mostrando un lato piuttosto che l’altro.  i Romani lo chiamavano caput aut navis (dalle monete che recavano su un lato la testa di Giano e sull’altro la prora della nave).

Il gioco della settimana o campana o mondo, che si fa spingendo con un piede una piastrella in sette o dodici riquadri, pare riproduca un’antichissima pratica astrologica, dove la piastrella sarebbe il Sole che muore quando tocca il settimo pianeta o il dodicesimo segno dello Zodiaco.

Gioco degli adulti

L’attività ludica dell’adulto, che rappresenta principalmente un’interruzione distensiva alla normale costrizione del lavoro, serve anche a sviluppare attività e capacità potenziali, a permettere lo spirito di emulazione o ad esprimere istinti sociali, e soddisfa queste e analoghe esigenze per mezzo delle difficoltà del gioco, delle gare, dei premi.

Da un punto di vista sociologico i giochi si dividono in individuali e collettivi. Fra primi sono i giochi matematici e di pazienza, quelli d’enigmistica, molti giochi di carte (i solitari). Fra i secondi si annoverano i giochi d’azzardo, quelli che riproducono un combattimento, quelli popolari e di società, infine i giochi sportivi.

Mentre alcuni giochi d’azzardo sono basati esclusivamente sul caso e ubbidiscono quindi a un meccanismo molto rudimentale che decide direttamente l’esito della partita  (per esempio il gioco dei dadi o quello del lotto), altri sovrappongono alla casualità il calcolo del giocatore, che deve saper trarre gli elementi per tenere nel gioco una determinata condotta.

Un nuovo tipo di gioco che si affida esclusivamente alla fortuna, perchè sollecita una previsione, è quelo dei totalizzatori sportivi (basati sui risultati sportivi), che ha incontrato largo favore popolare.

Importante, fra quelli collettivi, è tutta la categoria dei giochi che riproducono il combattimento. Alcuni comportano attività fisiche e implicano una competizione tra due o più persone per cui sono da considerare più propriamente de gli sport (tennis, scherma, pugilato, lotta libera, ecc.).